Il marketing sensoriale è una strategia di marketing che fa leva sul senso della vista, dell’olfatto, dell’udito, del tatto e del gusto per evocare una risposta positiva nel consumatore e guidare così le decisioni di acquisto. In questo articolo vediamo come implementare una strategia di sensory marketing, analizzando alcuni esempi pratici di brand che hanno saputo sfruttare sapientemente i sensi per promuovere i propri prodotti.
Cos’è il marketing sensoriale
Il marketing sensoriale o sensory marketing fa leva sui cinque sensi per garantire un’esperienza memorabile e quindi ottenere dal pubblico una risposta positiva. In pratica, facendo appello ai sensi, mira a evocare emozioni positive che portino all’azione. Infatti, come avevamo già detto parlando di neuromarketing, provocare emozioni nel consumatore è particolarmente importante perché esse portano all’azione, possono cambiare la nostra percezione nei confronti di un prodotto, fungono da segnale sociale e sono del tutto spontanee.
Il marketing sensoriale, che di fatto è una branca del neuromarketing, sfrutta immagini evocative, profumi, suoni, rumori, esperienze tattili e gustative per creare un legame associativo con un brand o un prodotto, così che tali elementi fungano da trigger per attivare la memoria del consumatore, anche a livello inconscio.
Vediamo ora come il marketing sensoriale si può declinare sui vari sensi e qualche esempio pratico.
Vista
Il senso della vista è sicuramente uno dei primi ad essere stimolato e che si può sfruttare per catturare l’attenzione di un consumatore.
Colori, densità, contrasto, luminosità sono tutti elementi che attivano i nostri recettori e stimolano la memoria visiva. Non per niente ci accorgiamo immediatamente se viene cambiato qualche elemento del packaging dei nostri cereali preferiti.
Pensate, ad esempio, anche alle compagnie aeree e al sapiente uso che fanno dei colori per distinguersi sul mercato, a partire dalle divise di hostess e stewards.
Per questo avere un’immagine coordinata è fondamentale per qualsiasi brand voglia imprimere un legame associativo tra determinati stili e colori e il proprio nome.
Olfatto
Vi capita mai di sentire uno specifico odore o profumo e associarlo immediatamente a un momento della vostra vita oppure a una persona?
Anche i brand possono sfruttare la memoria olfattiva per stimolare questa risposta cognitiva. Uno dei primi marchi a farlo è stato Abercrombie & Fitch: entrare in uno dei loro negozi significa essere assaliti da un preciso profumo (peraltro in vendita), che riporta alla memoria il brand non appena lo si sente.
Un altro esempio che dimostra l’efficacia degli stimoli olfattivi ce lo dà Dunkin’ Donuts con la campagna Flavor Radio del 2012.
Il brand ha deciso di targhettizzare i pendolari di Seoul durante il tragitto mattutino per recarsi al lavoro, installando su alcuni bus dei diffusori di aroma di caffè, attivati dal jingle del brand. Quando la pubblicità (e quindi il jingle) di Dunkin’ Donuts veniva trasmessa per radio, si diffondeva sul bus un aroma di caffè. La pubblicità radio si concludeva ricordando ai passeggeri che il negozio era proprio vicino alla fermata del bus. Più di 350.000 persone sono state soggette alla campagna. Il risultato? I frequentatori di Dunkin’ Donuts sono aumentati del 16% e le vendite dei negozi vicino alle fermate degli autobus sono aumentate del 29%. Dunkin’ Donuts è riuscito nel suo intento di associare la necessità di un caffè mattutino al proprio brand.
Il solo fatto di diffondere un determinato profumo nella sede della nostra azienda, potrebbe finire per far identificare quel profumo al brand, imprimendolo nella memoria olfattiva di chi ci visita.
Udito
Come abbiamo appena visto con l’esempio di Dunkin’ Donuts, oltre all’olfatto, è possibile sfruttare anche la memoria uditiva delle persone.
Jingle, ping, suoni specifici servono proprio a stimolare la memoria legata ad un brand o a un prodotto.
Lo sa bene Netflix, che con il suo “tu-dum” e la campagna “Quando una grande storia sta per iniziare, lo senti”, ha sapientemente promosso la piattaforma senza mai nominarla esplicitamente ma sfruttando proprio l’iconico suono che ormai tutti associano con l’inizio di un film o di una serie tv su Netflix.
Anche i supermercati sfruttano, in maniera molto sottile, il potere dei suoni e della musica per stimolare l’azione dei consumatori. Genere, volume e tempo non sono scelti a caso, bensì per invogliare le persone a rilassarsi e a soffermarsi per più tempo tra gli scaffali, un’azione che normalmente finisce per convincere le persone a comprare più di quello che c’era sulla lista. Non a caso, durante il periodo del Covid, quando gli ingressi ai supermercati erano contingentati e l’obiettivo era quello di fare la spesa nel minor tempo possibile, la musica era spenta in molti store.
Anche i negozi di abbigliamento sfruttano l’influenza della musica per suscitare certe emozioni. Basti pensare a negozi come Bershka (il cui target è giovane e festaiolo), dove lo shopping si fa a ritmo di musica ritmata ad alto volume.
Tatto
Forse Apple è stato tra i primi brand a implementare una strategia che facesse leva sul senso del tatto, sviluppando un vero e proprio concept di esperienza in negozio che permettesse alle persone di toccare letteralmente con mano i prodotti. La possibilità di toccare e interagire con la tecnologia prima di acquistarla è sicuramente un valore aggiunto importante, che collabora a creare un imprinting con il prodotto.
Texture, forma, peso e persino temperatura sono tutti elementi che, soprattutto quando si parla di product design, possono fare la differenza nell’attivare la memoria del consumatore e guidare le decisioni di acquisto.
Gusto
Il senso forse più difficile da associare a un brand è quello del gusto ma alcune aziende hanno saputo giocare di astuzia, associando un gusto ad una particolare esperienza.
È il caso, ad esempio, di Ikea e delle sue polpette svedesi: ci sono persone che vanno in negozio soltanto per mangiarle, quindi è molto probabile che ogniqualvolta gli venga voglia di mangiare polpette svedesi pensino di conseguenza ad Ikea e, perché no, magari facciano pure un giro nello store.
Lo stesso si può dire di diversi brand di bevande, primi fra tutti Coca-Cola e Corona. La prima ha creato la celeberrima campagna “Taste the Feeling”, che gioca proprio sul gustare una certa sensazione (e quindi di associare un determinato momento di gioia, divertimento, convivialità con il consumo di Coca-Cola).
“’Taste the Feeling’” dà vita all'idea che bere una Coca‑Cola – qualsiasi Coca‑Cola – sia un piacere semplice che rende speciali i momenti quotidiani. […] ‘Taste the Feeling’ impiega una narrazione universale con il prodotto al centro per riflettere sia gli aspetti funzionali che emotivi dell’esperienza Coca-Cola”, spiega Marcos de Quinto, allora Chief Marketing Officer di Coca-Cola.
Anche Corona è riuscita nell’impresa di associare una determinata emozione al suo brand, diventando la birra per eccellenza degli aperitivi in spiaggia al tramonto.
Tirando le somme
In un mondo saturo di stimoli, soprattutto pubblicitari, infiltrarsi nell’inconscio del consumatore è una misura necessaria poiché è proprio lì che hanno luogo buona parte delle scelte di acquisto.
Per farlo, è necessario costruire un legame emotivo con il consumatore e quindi associare ad una determinata emozione o esperienza il proprio brand e i propri prodotti.
Il sensory marketing e, più in generale, il neuromarketing ci vengono in soccorso in quanto, con la giusta dose di arguzia, possiamo davvero, distinguerci dalla nostra concorrenza, persino a livello sensoriale.
Cosa ne pensi di queste strategie? Possono davvero fare la differenza?
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